IL GRANDE LOOP NEL PROFONDO SUD DEGLI USA
Dopo quasi tre anni in cui il mondo si è ristretto alle quattro mura di casa per poi lentamente allargarsi a città, regioni e Stati limitrofi; finalmente qualche mese fa ho iniziato a pensare che forse il mondo si era ampliato di nuovo ai suoi confini naturali ed ovvero all'intero globo terrestre...
Soppesando vari fattori ho alla fine scelto di visitare la zona degli Stati Uniti che spesso viene definita il profondo Sud, tanto celebrato in film e letteratura. Ho costruito quindi un grande loop che parte e si chiude a New Orleans e si inoltra in otto Stati tra piantagioni, parchi, montagne, città storiche e mare. Un viaggio lungo oltre 3500 chilometri di strade panoramiche e non che provo a raccontare in questo post.
Il grande loop è partito quindi in Louisiana dalla irrequieta New Orleans dove abbiamo pernottato alla Maison Perrier in un tranquillo incrocio di stradine costeggiate da villette d'epoca in colori pastello. Da qui la città si gira facilmente utilizzando il Jazzy pass.
Il primo giorno decidiamo di visitare il vicino Garden District; iniziamo ligi seguendo la nostra audioguida ma presto confesso che mi perdo, e decido di tenerla come sottofondo nei miei auricolari. Mi rilasso passeggiando per questi marciapiedi deserti deformati dalle radici di querce giganti da cui si intravedono graziose villette d'epoca ognuna, da quanto dice l'audioguida, con una storia da raccontare. Il quartiere è un oasi rilassante ed ombreggiata nonostante il caldo umido di agosto ma in due ore il tour è bello che finito (od almeno così dice l'audioguida) e quindi ci incamminiamo verso l'attigua Magazine street che, contrariamente alle mie aspettative, trovo deliziosa con i suoi negozietti e i tanti bei locali. Dato che è ora di pranzo ci dirigiamo senza indugi verso Mahony's Po-Boys Seafood, vogliamo provare il Po-Boy e loro pare che ne abbiamo di validi. Per chi è curioso questa è la storia del famoso panino: due ristoratori Clovis and Benjamin Martin nel 1929, per venire incontro agli operari in sciopero e disoccupati, inventarono un panino buono ma economico ovvero baguette, ritagli di carne e salsa Gravy. I camerieri del locale alla vista di questi poveri disgraziati che entravano per acquistarne uno usavano dire ‘Here comes another poor-boy!’ e quindi il panino fu presto battezzato Po-Boy. Attualmente del panino esistono molte variante tra le più diffuse quella con i gamberi fritti.
Dopo aver eluso il famoso-famigerato Quartiere Francese non possiamo esimerci, ed il secondo giorno ci dirigiamo alla vicina fermata di Milan street (vedi il caso!) per prendere lo storico tram verde linea St Charles il cui capolinea ci lascerà alle porte del quartiere. Decidiamo che siamo troppo indisciplinati per l'audioguida e ci infiliamo a caso nella prima strada. Facciamo il giro la mattina presto quando il quartiere è tranquillo e facile da girare ma, anche se molti dei locali sono ovviamente chiusi, la prima cosa che percepisci è la musica jazz che arriva ovattata dai pochi locali aperti e molto più chiara dagli angoli delle strade dove complessini si danno il turno. Poi, sfortunatamente, percepisci anche il tanfo che pervade tutto l'area, motivo per cui tempo addietro le persone abbienti fuggirono e diedero vita al Garden District. Come dargli torto! La sera il quartiere, per quel poco che abbiamo visto dato che siamo scappati subito, è una cacofonia di musica che ti arriva da ogni parte: ragazzini che battono su secchi, locali a porte aperte, suonatori in strada. Sembra che facciano a gara a chi suona più forte. Poi la gente, tanta, locali e turisti, la maggior parte con facce poco raccomandabili; ed ancora il tanfo, ancora più maleodorante che di giorno. Confesso che non ho trovato nulla di poetico e molto di sgradevole nel quartiere francese di giorno ma soprattutto di notte. Però, a volte basta allontanarsi di un paio di stradine dalle mete più battute, magari a caso, ed aspettando che passi l'improvviso scroscio di pioggia, ti trovi ad ammirare la casa di fronte dai colori pastello con i balconi in ferro battuto e le felci verdissime; e poi noti anche come sono belli gli onnipresenti portici con i lampioni a gas sempre accesi ed intravedi un barlume del fascino che New Orleans poteva avere quando non era una vittima del turismo di massa. Peccato.
Nel quartiere francese tutto mi sembra tendenzialmente sporco, maleodorante e di bassa qualità e quindi è difficile scegliere un posto per pranzare. Di sicuro evito il "famoso" Caffè du Monde che propina ai turisti pallotte di pasta fritte letteralmente affogate in chili di zucchero a velo che ci puoi morire soffocato. Le chiamano Beignet storpiando il nome dei più aristocratici bignè francesi da cui derivano; che normalmente non sono fritti e pure ripieni...Noi ci rifugiamo da French Toast, che pur nel suo essere turistico, ha un nonsoché di autentico. Il pranzo risulta piacevole e non posso non menzionare le Aebelskivers alter ego dei beignet; almeno qui non le affogano nello zucchero e le servono con il lemon curd. Abbinamento prezioso.
Purtroppo il mio racconto di NOLA (acronimo locale di New Orleans) termina qui dato che i nostri tentativi di vistare la lunga Esplanade Avenue, con le sue belle case, ed il City Park, polmone verde della città, sono stati fermati dal maltempo. Peccato, penso che sarebbero stati altri punti a favore della città che non mi ha stregato con il suo fascino dark e decadente come ha fatto con tanti altri.
Menziono però un paio di indirizzi validi per provare la cucina Creola, tutti e due si trovano nel Business District quartiere piacevole, moderno e pulito ai margini del quartiere Francese dove ci sono tra l'altro ottime alternative per il pernottamento. Il mio preferito è stato di gran lunga Maypop dove si può provare una cucina fusion asiatica creola, ho trovato tutto eccellente in un ambiente piacevole e rilassante. A Gio è anche piaciuto molto Herbsaint pluripremiato ristorante di cucina creola che a me ha lasciato un po' perplessa forse i miei piatti non erano i meglio riusciti.
Lasciata NOLA inizia in nostro viaggio on the road che ci porterà prima di tutto lungo la Plantation Alley ovvero la lunga strada che costeggia il Mississippi e su cui si affacciavano le numerosissime piantagioni. Non fatevi però ingannare, la strada che effettivamente costeggia il fiume, oggi purtroppo non ha nulla di panoramico a causa degli alti argini eretti per evitare le esondazioni. Restano però le Plantation House: le storiche dimore padronali sopravvissute a guerre ed incendi ed ora restaurate e visitabili. Le più vicina, che purtroppo causa giorno di chiusura non abbiamo potuto visitare, è la Whitney Plantation l'unica ad avere un tour incentrato sulla vita degli schiavi più che su quella sfarzosa dei loro sfruttatori. Poco oltre si trova la Laura Plantation una delle poche case creole sopravvissute. Ma chi è un Creolo? Ho imparato che Creolo non è una etnia ma bensì chiunque sia nato in America da coloni di lingua francese. I creoli convivevano in Louisiana con i coloni anglofoni ma dagli inizi dell'800 inziarono ad essere fortemente discriminati tanto da iniziare a "nascondersi" ridipingendo le case di bianco ed imparando la lingua inglese. Le grandi case bianche che noi tutti conosciamo con alte colonne ed ampi porticati infatti sono di proprietari anglofoni; mentre quelle dei creoli sono molto più spartane, modeste nelle dimensioni ad un piano e soprattutto dipinte di giallo. Il tour fornisce anche uno spaccato della vita degli schiavi ed ha anche un piccolo museo in cui sono raccolti documenti storici davvero interessanti. La Oak Alley Plantation è a pochissimi minuti di strada e noi, come tutti, ci siamo limitati a a "rubare" la foto di rito del fotografatissimo viale di accesso direttamente dalla strada senza pagare un centesimo. La Houmas House si raggiunge con una breve guida sempre lungo il fiume e sarebbe famosa per i giardini che ho però trovato assolutamente perdibili. Si ho scritto bene, perdibili. Essendo andati a dormire alla Myrtle Plantation abbiamo avuto l'occasione anche di visitare quella che è definibile come la House più spettrale. Ogni volta che durante il viaggio nominavo a qualcuno St Francisville, un lampo di terrore passava negli occhi dei miei interlocutori e poi la domanda: non andrai a dormire alla Myrtle Plantation? Vero o non vero, probabilmente solo ottimo marketing, partendo dalla storia disgraziata dei primi proprietari della casa, è stato ricamato un mito di maledizioni e spettri vaganti di cui vi sarà fatto ampio resoconto durante la piacevole visita guidata compresa nel pernottamento. L'ultima House degna di menzione, ma solo per distanza non per importanza, è la Rosedown Plantation, la più autentica di tutte ed i cui interni sono sfarzosi proprio come ti immagineresti quelli della casa di Rossella O'Hara. Inoltre va reso onore al merito ai proprietari della piantagione che, una volta tanto, sembrano essere brave persone tanto da fornire assistenza medica agli schiavi.
Lasciamo le case sfarzose ed il poco onorevole capitolo della schiavitù per dirigerci in Mississippi direzione Natchez perchè è da li che inizia la omonima Natchez Parkway strada parco che arriva fino a Nasheville e si snoda lungo l'Old Natchez Trail ovvero il sentiero che costeggia il fiume creato dai nativi americani e poi sfruttato dai coloni per tornare a casa, solitamente il Tennessee. Nell'epoca precedente ai famosi battelli a vapore con l'enorme ruota iconici del Mississippi, dopo aver trasportato la mercanzia al porto di New Orleans, era usanza vendere la barca e tornare a piedi. All'epoca infatti le barche non erano in grado di risalire la corrente e si dice che molta dell'attuale NOLA sia stata costruita con il legno di tali barche. Ma, come scopriremo, Natchez vale una visita anche solo per fare una capatina al The Camp nominato da me e Gio miglior pranzo di tutta la vacanza. Semplice hamburgeria vista fiume ma signori, che hamburger! carne di vario tipo tutte di primissima scelta, "bun" croccante fuori e morbido dentro, due dimensioni di panino mini e normale, varie le proposte offerte ma c'è anche l'elenco degli ingredienti disponibili e puoi chiederne uno a tuo piacimento. Insalata servita come contorno buonissima. Bravi! Purtroppo ero troppo impegnata a gustare il pasto per fare fotografie. Il nastro d'asfalto della parkway che si snoda tra alberi che sembrano infiniti e paludi scenografiche ci porta a Tupelo dove ci fermiamo da Neon Pig una macelleria con servizio ristorazione. Il simpatico ragazzo dietro il notevole banco della carne ci parla del suo sogno di viaggiare in giro per l'Europa e ci fa assaggiare il Jerky ovvero una striscia di carne secca e croccante tipica degli stati del Sud.
Rifocillati e riposati ci avviamo verso l'Alabama ed in particolare quella che il nostro macellaio ha ribattezzato la città più smart del mondo dato l'alto tasso di ingegneri.
Non si può dire che l'arrivo ad Hunstville non sia scenografico: un autentico razzo Apollo svetta immenso proprio accanto all'autostrada e ti è subito chiaro perchè è chiamata Rocket City. Siamo qui solo per la notte ma la breve passeggiata nel tranquillo centro urbano dagli ampi spazi verdi ti ispira pace, pulizia, poco traffico, insomma una città che si vede infestata da ingegneri. Per il maltempo quasi rischiamo di perdere il nostro tavolo all'aperto da Cotton Row dove proviamo i nostri primi pomodori verdi fritti! La mattina dopo decidiamo che la città ci ha talmente intrigato che vogliamo fare una visita allo Space & Rocket Center che, oltre al museo didattico dedicato alle prime missioni della Nasa (qui è nata la missione Apollo) ospita lo Space Camp dove Samantha Cristoforetti e molti degli astronauti effettuano i loro training. Roba seria. La visita è interessantissima e ve la consiglio vivamente, vedere dal vivo i razzi, conoscere i retroscena e la storia delle missioni Apollo dai tanti filmati e documenti è davvero emozionante ed avrei voluto avere più tempo a disposizione.
Altro giorno, altro Stato, arriviamo in Tennessee (ma perchè diavolo tutti i nomi degli stati del sud sono infarciti di doppie!?) per restarci qualche giorno e visitare le Great Smoky Mountains che nell'organizzare il viaggio ho con grande meraviglia scoperto essere il parco più visitato degli USA con oltre dieci milioni di visitatori all'anno; il Grand Canyon ne ha la metà tanto per capire. Il paradiso del trekking potremmo definirlo, con infiniti sentieri per tutti i livelli; e tanto per citarne uno, di qui passa l'Appalachian trail super sentiero lungo oltre duemila miglia che attraversa nove stati e richiede da cinque ai sette mesi per percorrerlo interamente. Noi possiamo dire di averlo fatto!...per sei chilometri...temo tra i più semplici... Va beh, il parco è interessante anche per la numerosa fauna soprattutto orsi, che se non stai attento ti sbucano sul ciglio della strada e rischi di investirli...vero Gio? oppure gli Elk, che scopriamo parenti fino ad ora sconosciuti dei moose (alci)... te li trovi lì a brucare placidamente mentre passeggi su un sentiero lungo il fiume. Ma come Dr Jekill e Mr Hyde le Great Smoky Mountains oltre questo lato selvaggio e bucolico hanno un lato drammaticamente caotico e consumistico: ai limiti dell'ingresso ovest del parco si trova Gatlinsburg, di per sè già orgia di turisti impazziti in giro per negozi di souvenir, che si collega a Pigeon Forge con una stradona disseminata di luci e parchi divertimenti; una brutta copia della scintillante strip di Las Vegas.
Noi fortunatamente pernottavamo in una baita in mezzo al bosco e ne uscivamo solo per provviste e trekking come veri lupi di montagna. Nelle uniche cene fuori dal nostro eremo siamo stati da Local Goat che nella sua rustica semplicità ci ha sorpreso con la qualità del cibo; meritano menzione delle inaspettate onion rings in dimensioni giganti molto gustose ed il Dragon Tail cocktail consigliatoci da un avventore mentre eravamo in attesa.
Questi americani, sempre cordiali e pieni di suggerimenti utili, che noia.
L'ultimo giorno attraversiamo il parco percorrendo la panoramica Newfound Gap Road e voilà sbuchiamo in North Carolina nei pressi di Cherokee ingresso est del parco ed anche riserva indiana. Evitiamo la città e pernottiamo qualche chilometro oltre nella sperduta Maggie Valley per l'esattezza al Route 19 Inn che nomineremo il pernottamento più inaspettato del viaggio. Pur essendo un motel si rivela essere delizioso con un ampio giardino, piscinetta e tanto di auto e pompa di benzina anni cinquanta. Grazie alle indicazioni della proprietaria ceneremo al Blue Rooster Southern Grill in mezzo a zero turisti e gustando un ottimo Shrimp & Gritt un classico tra i piatti tradizionali della cucina del sud degli USA. Il Gritt in particolare è una polentina fatta con farina di mais gialla o bianca che accompagna piatti di pesce, normalmente gamberi, cucinati in svariati modi dal fritto al grigliato.
La mattina seguente dopo aver divorato un pancake alle mele caramellate, cannella e noci pecan dal rinomato Joey's Pancake House imbocchiamo la Blue Ridge Parkway, strada panoramica di oltre settecento chilometri che si snoda sui monti Appalachi costruita durante la grande depressione su progetto di Stanley Abbott architetto e paesaggista. Il tratto da noi percorso è solo di circa cento chilometri ma la strada è piena di punti panoramici (se non ci fossero le nubi bassissime) e trail. Ci mettiamo tutto il giorno fermandoci qua e la per poi sbucare all'uscita alle porte di Asheville che, raccogliendo informazioni durante l'organizzazione del viaggio, mi ero figurata come un grazioso e vivace borgo di montagna con bei locali e tanta ottima birra di cui è rinomata. Avevo molte aspettative per questo pernottamento, ma purtroppo la realtà è che il mio ricordo è solo pioggia ed una infinita attesa fuori dal ristorante per cena. Terminato il capitolo strade panoramiche, trails & Co ci dirigiamo verso la costa. Sbucheremo in South Carolina per scendere poi diverse miglia prima di chiudere il nostro loop. Ma la strada è lunga, lunghissima così ci fermiamo a Columbia per un pranzo rilassato sotto il portico di Spotted Salamander il padrone è gentilissimo si ferma a chiacchierare con noi chiedendoci del viaggio, sembra quasi di mangiare nel portico di casa con amici. Ripresa la macchina arriviamo a Myrtle Beach che nonostante lo sfruttamento intensivo del turismo con orridi palazzoni lungo il mare, e forse grazie al piccolo appartamentino fronte oceano, alla fine ci sembra meno peggio di quello che temessimo. La spiaggia è lunga e con sabbia fine, e dal nostro secondo piano possiamo ammirare l'oceano senza muoverci di casa. E così broccoliamo tra colazioni e pranzi sul balconcino vista mare e passeggiate sulla sabbia in pieno relax marinaresco. Il panorama gastronomico nei dintorni è piuttosto limitato e focalizzato sul turismo familiare e goliardico che gira intorno a Myrtle Beach quindi non c'è molto che mi senta di segnalare. Si salva Sea's Capitan House sprazzo di quello che una volta doveva essere Myrtle Beach. Soprassedendo ai camerieri in divisa da capitano, nella sua casetta bianca in legno offre una cucina di pesce tradizionale di ottima qualità. Meritano una menzione, se non altro perchè li abbiamo assaggiati qui per la prima volta, gli Hushpuppy tipico soul food del Sud. Si tratta di piccole palline fritte (ovviamente) di farina di mais. Perchè si chiamano così? Ecco la storia (qui nel profondo Sud tutto ha una storia). Dicono che il nome risalga alla guerra di indipendenza quando un soldato confederato che stava cucinando il rancio, per non farsi scoprire dai cani in avanscoperta dei soldati dell'unione, gli propina queste polpettine fritte rabbonendoli con un "Hush puppy!" Gli hushpuppy normalmente accompagnano i piatti di pesce della tradizione del Sud.
Il giorno che lasciamo Myrtle Beach veniamo svegliati da un sinistro beep beep che scopriamo arriva dal mio telefono: è la funzione "Tornado" di Google Map (sì, esiste anche quella) che gentilmente ti informa che un tornado si sta formando nella tua zona e puoi iniziare a preoccuparti. In effetti dopo esserci ripresi dallo sgomento guardiamo fuori ed il cielo è davvero, davvero nero. Per fortuna il tornado non si formerà ma dopo poco assisto alla pioggia più copiosa mai vista in tutta la mia vita accompagnata da vento fortissimo. Se questo è un quasi-tornado non voglio assistere ad un vero uragano.
Scampata l'emergenza meteo iniziamo il tour delle città storiche guidando sulla costa fino a Charleston, città più antica del South Carolina fondata nel 1670 e chiaramente nominata così in onore del sovrano dell'epoca. La città si rivela caotica nel suo traffico, bella nelle architetture aggraziate dei palazzi e ville, ma con una vena scostante e snob come l'atteggiamento delle commesse nei negozi lungo la King street. Si respira provincialismo e ricchezza palpabile ovunque, soprattutto nei prezzi, di qualsiasi cosa. Causa appunto i prezzi imbarazzanti degli alberghi, per la prima volta in vita mia, ho dormito in un'ostello che però come il nome indica è Not So Hostel ed offre anche camere con bagno e tutti i comfort necessari per passarci una notte; il tutto in una tradizionale casa di legno del Sud. Sicuramente il mio miglior ricordo in città è Butcher & Bee: qui abbiamo mangiato un sandwich strepitoso con bacon, pomodoro e lattuga. Lasciamo il nostro ostello per guidare verso Edisto Island che definirei una non isola dato che è talmente attaccata alla costa che non ti accorgi di non essere sulla terra ferma. E' la sede dell'omonimo parco statale dove inizialmente avevo pensato di pernottare al posto di Charleston e decidiamo di dargli comunque un occhio dato che la meta di oggi è vicina, e facciamo bene. Il parco, ed il relativo trail infestato da zanzare, non ci esalta; ma la strada che porta all'isola è forse la più scenografica di quelle fatte: enormi (immancabili) querce formano bellissime gallerie verdi. E' qui che notiamo anche lo strano fenomeno che apparentemente la scenografia di queste bellissime querce e delle loro radici aeree (dette spanish moss) hanno un verso. Sì, perchè inspiegabilmente al ritorno la strada è bella, ma non come all'andata. E no, non sono pazza, lo ha ammesso anche Gio.
Dell'isola devo menzionare Seacow Eatery che definirei un gioiello nascosto. Locale rustico e dai colori caraibici, qui si respira aria di semplice autenticità. Ho mangiato una sanissima, croccantissima e freschissima insalata (si lo so, assurdo vero? Me lo ha detto anche una avventrice abituale che non sapeva dell'esistenza di tale salutare alternativa nel menù). Gio invece, per restare sul tradizionale, un panino con pollo fritto da leccarsi i baffi. Bravissimi.
Dopo pranzo ci dirigiamo senza indugi verso la Georgia fino ad arrivare a Savannah. E da subito ti è chiaro che la denominazione di città più bella del Sud non è esagerata. Un gioiellino, la città ideale secondo i canoni estetici dei '700: una scacchiera composta da eleganti villette in vari stile dell'epoca a cui si alternano piccoli graziosi giardinetti. Savannah non per nulla ha fatto da scenografia a numerosi film uno per tutti Forest Gump: è qui che è stata girata la famosa scena sulla panchina con la scatola di cioccolatini. Il nostro albergo il The Present è in un grazioso piccolo edificio a tre piani in posizione perfetta per visitare la città a piedi. Vale inoltre sicuramente una visita il Crystal Beer Parlor famoso per essere il primo esercizio a vendere alcolici dopo il proibizionismo è un vero pub in stile inglese. Abbiamo mangiato delle ottime Crab cake altro tipico cibo del sud; lo definiscono tortino ma sono più polpette fritte fatte con polpa di granchio. Lasciamo la bella Savannah e guidiamo verso la Florida sempre lungo la costa per la deludente A1A presunta strada panoramica verso la nostra ultima città storica: St. Agustine fondata nel 1565 dagli spagnoli è rinomata come centro urbano più antico degli USA. In effetti però la città "vecchia" ha un'aurea di falso e più che in un antico borgo del '500 sembra di passeggiare per una ricostruzione a Disneyland. Della sosta in città quindi salverei solo i costosissimi ma buonissimi ghiaccioli di The Hyppo Gourmet Ice Pop ed i golosi pancake ai mirtilli di Anastacia Kitchen divorati per colazione.
Terminato il capitolo città storiche, ci inoltriamo verso la conclusione del loop nella parte più a nord della Florida che, per la sua conformazione stretta e lunga, viene chiamata Panhandle perchè appunto ricorda il manico di una padella. Spesso denominata Emerald Coast grazie ai chilometri di sabbia fine e bianchissima e mare cristallino dall'inconfondibile colore verde caraibico. Partiamo quindi con in testa questa promessa di paradiso tropicale ma purtroppo la realtà sarà diversa.
La prima tappa è Panama City beach e già ci da un assaggio di quello che purtroppo sarà il tono del resto della nostra vacanza. Il mare cristallino dai colori caraibici e la infinita spiaggia di sabbia bianca sono vere ma purtroppo, quello che le guide non dicono, è che lo sfruttamento turistico qui è selvaggio: palazzoni enormi che assomigliano più a carceri che condomini, disseminano quasi ininterrotti tutta la costa. Myrtle Beach in confronto sembra un paradiso marino, qui almeno hanno costruito intorno ad un piccolo borgo già esistente di cui se ne percepisce ancora l'anima, ma da Panama City a Destin non esiste anima, non esiste un aggregato urbano che non sia stato brutalmente pianificato a tavolino residenza o centro commerciale che sia. Di Panama City salvo solo il preziosissimo Hunt's oyster bar & seafood che offre ostriche polpose a prezzi irrisori in tutte le salse e ottimo pesce in generale tra cui spiccano le mini capesante tipiche della zona. Grazie per averci regalato almeno un pensiero felice legato a questa città!
Ma il peggio per me verrà il giorno dopo a Seaside: unico esperimento di dare un volto umano, una parvenza di città a tutto questo sfruttamento edilizio. Seaside infatti nonostante le apparenze non è un paese ma un progetto immobiliare a cui è stato data l'apparenza di un placido paesino di mare con tanto di piazza e nomi delle strade. Dopo qualche minuto incominci però a realizzare che The Truman Show non è stato girato qui: è stato ideato qui. A Seaside tutto suona falso, gli abitanti sembrano comparse che recitano una parte in una storia in cui gli estranei sembrano non ben accetti, percepisci che ci sono regole non scritte ed hai la netta sensazione che le stiamo infrangendo tutte semplicemente camminando per strada alla ricerca di un po’ di refrigerio e qualcosa da mangiare. Giriamo persi nel dedalo di stradine tutte uguali guardati di traverso da gioiose famigliole in bicicletta o sui dannatissimi golf cart che sprizzano #happyfamily #happylife da tutti i pori senza trovare un modo per ritornare indietro nella piazza principale. Miracolosamente troviamo la via di uscita e un parcheggio pubblico! Si perché anche qui, dopo tutto, un accesso pubblico alla spiaggia deve esistere anche se ben nascosto. L’oceano non si vede, devi pagare anche per quello probabilmente, è nascosto dalla fila di perfette casette tutte con nomi da sogno #happyhouse e tanto di cartello #sciodacasamia. Proviamo a mettere il naso fuori usando l’accesso pubblico alla spiaggia ma ci sentiamo occhi invisibili addosso: non siamo adepti della setta e stiamo sicuramente infrangendo qualche regola anche solo mettendo il piede sulla sabbia. Ci rifugiamo quindi nel piccolo tratto di strada con i famosi food truck ed anche questi sanno di falso da Barefood BBQ un’insalata verde, un sandwich al pollo acqua e birra modici 50 dollari. Mangiamo in fretta, decidiamo di levare le tende, prima che questi figuranti decidano di tenerci qui a vita per non svelare l'esistenza della setta.
A Miramar Beach, nostra ultima tappa, per fortuna è tutto brutto e falso ma nella norma: niente figuranti, solo orridi palazzoni e usuali centri commerciali, c'è persino un piccolo Whole Food oasi di benessere che ci salverà colazione, pranzo e cena. La casa, per fortuna di nuovo fronte oceano, ci salva ancora dal disastro completo ma non puoi girare lo sguardo: puoi solo guardare diritto d'avanti a te e fissare con un po' di sconforto l'oceano dalle tinte bellissime che sembra infinito e si fonde con il cielo. Che spreco! Che orrore. Che tristezza. Quasi quasi alla fine sono contenta di riprendere la macchina e concludere il nostro loop tornando a NOLA per volare verso la civiltà della raccolta differenziata e del bidet.
Se siete arrivati vivi fino a qui meritate una conclusione di questo lungherrimo (forse ne dovevo fare due?...) post: "There are no stranger here, only friends you haven't met" con questa bellissima frase letta al graziosissimo Route 19 Inn credo possa sintetizzarsi la vera essenza di questo grande loop.
Il viaggio si è appena concluso e come sempre mi chiedo: ne è valsa la pena? Si ovvio, tutti i viaggi hanno qualcosa da insegnarti. Lo rifarei di nuovo? No, non credo. Posti interessanti, che per una volta vale la pena di vedere, ma non ho trovato spettacolarità nei paesaggi o l'arricchimento percepito in altri viaggi. Quello che più ha lasciato un segno sono stati invece gli incontri, spesso casuali e fugaci, con tante deliziose persone. E parlo per esempio della sorprendente coppia dall'Oregon che dopo due minuti nel tram di New Orleans ci infila in mano il biglietto da visita offrendo di ospitarci in un futuro viaggio; oppure di quella deliziosa in età piuttosto avanzata che incrociamo mentre riprende fiato lungo un sentiero della Blue Ridge Parkway e in pochi attimi il saluto di rito si trasforma in una piacevole conversazione. O ancora la impareggiabile sensazione di sentirti esotica quando ti inoltri in posti non battuti dal grande turismo e ti ritrovi nel ristorante di uno sperduto paese nel mezzo del North Carolina e capisci che la padrona è corsa a conoscerti quando ha saputo che siamo Italiani. Indimenticabile poi la risata che ci strappa la tenera spudoratezza della bambina che durante la sosta in un trail si avvicina e con il candore dei suoi quattro anni toglie letteralmente di bocca a Gio l'ultimo biscotto. Ti fa sorridere anche il ricordo di un piccolo gesto gentile come quello della cameriera di Charleston che, dopo averle chiesto che dolce fosse quello del tavolo vicino, ce lo porta offerto da lei. Sono solo esempi delle tante persone incontrate che sono state il sale di questo viaggio che altrimenti forse sarebbe stato un po' troppo insipido.
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